Capitali di ventura a caccia di risorse

L'articolo è uscito sul Sole 24 Ore del 2 febbraio 2014 

Almeno su un punto sono tutti d'accordo: quello che sta arrivando sarà un anno cruciale per le startup italiane. In tutti i sensi. I venture capitalist, gli investitori di capitali di rischio che hanno visto crescere l'ecosistema startupparo italiano avvertono che se non arriveranno nuove risorse si rischia di assistere a una proliferazione di startup "orfane", gracili, venute al mondo grazie a investimenti di piccolo taglio (10-50mila euro) che vivono in un limbo in attesa di fortuna o contributi più sostanziosi. «Le startup – ha scritto Gianluca Dettori venture capital di Dpixel – sono oggetti delicati e ad alto rischio e necessitano di capitali specializzati per partire e svilupparsi nelle prime fasi. Il venture capital è fondamentale perché è il primo anello nella catena alimentare della finanza». Da solo però non basta. 
Negli ultimi dodici mesi grazie al decreto sviluppo Crescitalia 2.0 l'ecosistema delle startup è uscito dall'ombra, è cresciuto, si è sviluppato ma soprattutto è diventato misurabile. Sappiamo per esempio, che da febbraio dell'anno scorso a gennaio di quest'anno le Camere di Commercio hanno registrato 1.508 startup innovative. Accanto (e intorno) loro sono spuntati una miriade di nuovi soggetti, alcuni dal nulla: 97 tra incubatori e acceleratori, 40 parchi scientifici e 65 gli spazi di coworking. Se aggiungiamo gli oltre 41 portali online di crowdfunding (non solo equity) possiamo grossolanamente concludere che in meno di un anno oltre 200 luoghi si ritrovano a contendersi lo sviluppo e l'accudimento di poco più di un migliaio di startup. Entro fine dell'anno però, assicurano dal Ministero dello Sviluppo, il numero di startup è destinato a raggiungere quota tremila. A fornire sostegno economico oltre alle centinaia di business competition che sono sbocciate recentemente, ci sono 14 venture capitalist attivi sul territorio più una serie di potenziali investitori come fondazioni bancarie, enti previdenziali, fondi pensione e compagnie assicurative, per ora timidini verso la scena startuppara, per mancanza di cultura e di incentivi specifici.
Ma quanto è grande il mercato di capitali per le startup? Complessivamente venture capital e business angel italiani nel 2012 hanno investito 130 milioni di euro (si legga l'infografica). Pochissimi rispetto ai 3 miliardi dollari dell'Europa e ai 30 miliardi degli Stati Uniti. Ma moltissimo se si pensa che fino a pochi anni fa non esisteva un mercato del venture capital nostrano. Il primo semestre del 2013 ha però segnato un calo di poco meno del 60 per cento. E anche nel mondo i segnali sono di un rallentamento: Ernest & Young sostiene che nel 2012 gli investimenti sono calati ai livelli del 2009. «In realtà – spiega Paolo Cellini, venture partner di Innogest Sgr – il fenomeno da tenere sotto controllo è quella della qualità dell'investimento. Assistiamo non solo in Italia a una esplosione del seed capital che ha prodotto la nascita di moltissime startup, perlopiù nel digitale, che riescono a nascere proprio grazie a piccoli iniezioni di denaro. Nascono ma non si sviluppano perché quello che in realtà manca è la fase di round A, con finanziamenti da un milione di euro in su. Questo assenza rischia di generare un effetto bolla». Il rischio è quindi quello di assistere al proliferare di una moltitudine di startappine dal fiato corto, con la prospettiva però di non superare l'anno di vita se il mercato in primis o un partner non interviene subito. 
«Il fenomeno è generalizzato – conferma Diana Saraceni general partner di 360 Cp – però almeno rispetto all'Europa quello che è mancato in Italia è la presenza di una ondata di corporate venture che in parte ha compensato le difficoltà di raccolta». In sostanza, in Germania e Francia grandi multinazionali come Merk, Orange e Abb hanno creato fondi di venture capital investendo in startup. In teoria anche da noi le medie-grandi aziende potrebbero guardare ai giovani innovatori per modernizzare il business. E nella pratica è anche successo. Recentemente la startup torinese PubCoder, che mette a disposizione tutti gli strumenti utili alla pubblicazione di libri digitali, ha stretto una collaborazione con uno dei giganti dell'editoria nostrana De Agostini. Più da manuale il caso di Silicon Biosystems, startup che ha sviluppato un sistema per isolare le singole celle tumorali, acquisita da Menarini con un'operazione che si configura come una vera e propria exit industriale. Davide Turco, responsabile di Atlante Ventures, il fondo che fa capo a Intesa Sanpaolo che aveva investito tre milioni di euro in Silicon Biosystems è particolarmente ottimista. «Il mercato è selettivo ma vedo importanti segnali di ripresa. Il Fondo italiano di investimento (che a oggi ha investito 50 milioni di euro in 4 fondi di venture capital ndr) e i tre fondi governativi (Principia, Atlante Ventures e Vertis ndr) per il sud hanno mosso capitali e contribuiranno ad accorciare il gap con gli altri paesi. Per raggiungere una massa critica dobbiamo però aumentare le risorse di un ordine di cinque e dieci volte rispetto ai 100 milioni attuali».
Per crescere di dimensione, sottolinea Carlotta De Franceschi dell'Action Institute (www.actioninstitute.org) in un rapporto che verrà pubblicato a breve occorre un intervento pubblico, «con un Fondo di Fondi che investa in intermediari finanziari dedicati a cui sarebbe opportuno affiancare politiche di incentivo che possano attrarre verso l'asset class investitori istituzionali italiani (fondi pensione ed assicurazioni)». L'intervento, spiega, per aumentare del 50% la dotazione del capitale nel sistema sarebbe minino (150 milioni di euro) e servirebbe da volano per attirare almeno altrettanti capitali privati e sviluppare il mercato». Nell'immediato però si attendono effetti benefici dalle misure di incentivo fiscale per chi investe in startup. Venerdì scorso si è concluso l'iter del decreto interministeriale (Economia-Sviluppo) che contiene i dettagli per gli incentivi fiscali per gli investimenti in startup innovative effettuati da aziende e privati negli anni fiscali 2013, 2014, 2015. Più interessanti invece sono i finanziamenti per le startup presenti nel programma europeo Horizon 2020. «Per la prima volta – sottolinea Diana Saraceni – il programma è stato pensato a favore delle startup. Alloca una quantità di soldi enorme non più solo a spin-off scientifici, cordate internazionali o a iniziative che contemplano brevetti ma anche al comparto digitale. Parliamo di "ticket" importanti che partono da 500mila e possono arrivare a 2-3 milioni di euro». La prima call inizia a marzo.