Tre genitori su quattro su Facebook sono "amici" dei loro figli. Il sondaggio rilanciato dall'Ansa è della Nielsen e potrebbe indurci a immaginare famiglie sessantottine, dialoganti e complici. Il che è poco realistico, salvo le solite eccezioni, sopratutto se pensiamo a un adolescente tipo. Essere amici su Facebook significa condividere foto, video, amici, opinioni e link. E' come lasciare la porta della propria cameretta sempre aperta. Personalmente ho sempre vissuto come una invasione, anzi no, una violazione dei miei diritti l'ingresso dei miei nella mia stanza. Ricordo anche i cartelli di "vietato l'ingresso" dei miei amichetti e le discussioni sulla pulizia della stanza. Insomma, qualche segretuccio nei confronti di mamma e papà non è un peccato mortale. Ecco perché ho alzato un sopacciglio a questa notizia. E Infatti non avevo torto. Continuando a leggere si scopre che "spesso i genitori hanno posto la concessione dell'amicizia come condizione per avere accesso a Facebook". Un ricatto in sostanza. Ti faccio usare Facebook ma in cambio voglio poter spiare chi hai come amico e cosa fai lì dentro. Non è bello: sottende una sfiducia di base nei confronti della prole. Ma anche una ignoranza dello strumento tecnologico. Se il figlio non è uno sprovveduto può tranquillamente accettare l'accordo con il genitore e poi infilarlo (il genitore) in una lista con regole di privacy più stringenti. Ad esempio può impedirgli di vedere alcune foto, accedere alla bacheca ecc. Volendo l'intrepido hacker imberbe può tappare il buco della serratura della sua stanzetta virtuale senza farsi accorgere dal genitore. Non è bello, lo so. Ma la sfiducia si ripaga con la stessa moneta.
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