The Path è una serie tv che parla di sette. Non di tutte, ma di una setta che si sono inventati: il movimento religioso dei Meyeristi. Che è un mix di tante cosa che sappiamo o pensiamo di sapere o ci immaginiamo sulle comunità utopiche. Hanno eliminato quelle più carnevalesche, i codini, i tamburelli e anche quelle più violente ed estreme. Il meyerismo crede nella luce, non ha un Dio ma ha una chiesa laica. Fondato fondato dal misterioso Steven Meyer, un medico autore di un libro, La scala, propone una serie di prove per raggiungere la purificazione di se stessi. Apparentemente sembra ispirarsi nel forme più a Scientology che agli Hare Krishna. Ma l’intento non è quello di documentare o raccontare movimenti religiosi o pseudoreligiosi esistenti. Quanto di raccontare quello che avviene all’interno della setta (amori, amicizie e lotta per il potere). Il che è intrigante in sè. Ed è per questo che sono arrivato a chiudere la seconda stagione. Con fatica. Oddio, la prima ancora ancora. La seconda è stato davvero complicato. Da un lato c’è un che di pruriginoso nel voler mettere il naso sotto le “lenzuola” di chi compie scelte radicali di vita. E quindi sei anche invogliato ad andare avanti. Dall’altro c’è una recitazione di rara bruttezza e una scrittura faticosa e prevedibile. E dire che nel cast c’era Aaron Paul, quello che ha vinto tre Emmy con Breaking Bad. Una bravo che però in The Path ha tre espressione per tutte le puntate. Anche gli altri attori sembrano annoiati a morte. Sopratutto nella seconda stagione che si trascina come non mai. Detto questo la vedrò tutta. E anche la terza. E se me ne propongono una quarta sarò lì. Non per masochismo ma perché le sette hanno su di me una attrazione magnetica. Non posso farci niente.
Intrappolati in The Path
The Path è una serie tv che parla di sette. Non di tutte, ma di una setta che si sono inventati: il movimento religioso dei Meyeristi. Che è un mix di tante cosa che sappiamo o pensiamo di sapere o ci immaginiamo sulle comunità utopiche. Hanno eliminato quelle più carnevalesche, i codini, i tamburelli e anche quelle più violente ed estreme. Il meyerismo crede nella luce, non ha un Dio ma ha una chiesa laica. Fondato fondato dal misterioso Steven Meyer, un medico autore di un libro, La scala, propone una serie di prove per raggiungere la purificazione di se stessi. Apparentemente sembra ispirarsi nel forme più a Scientology che agli Hare Krishna. Ma l’intento non è quello di documentare o raccontare movimenti religiosi o pseudoreligiosi esistenti. Quanto di raccontare quello che avviene all’interno della setta (amori, amicizie e lotta per il potere). Il che è intrigante in sè. Ed è per questo che sono arrivato a chiudere la seconda stagione. Con fatica. Oddio, la prima ancora ancora. La seconda è stato davvero complicato. Da un lato c’è un che di pruriginoso nel voler mettere il naso sotto le “lenzuola” di chi compie scelte radicali di vita. E quindi sei anche invogliato ad andare avanti. Dall’altro c’è una recitazione di rara bruttezza e una scrittura faticosa e prevedibile. E dire che nel cast c’era Aaron Paul, quello che ha vinto tre Emmy con Breaking Bad. Una bravo che però in The Path ha tre espressione per tutte le puntate. Anche gli altri attori sembrano annoiati a morte. Sopratutto nella seconda stagione che si trascina come non mai. Detto questo la vedrò tutta. E anche la terza. E se me ne propongono una quarta sarò lì. Non per masochismo ma perché le sette hanno su di me una attrazione magnetica. Non posso farci niente.