Trasmessa in Russia sul canale TV1 l’equivalente di Rai Uno Trosky è una serie tv di otto puntate da 50 minuti dedicata alla vita del rivoluzionario Lev (Leon) Trotsky (Tроцкий). La trovate su Netflix. Produzione e attori di primo piano (per essere un prodotto russo) la serie è stata ideata per celebrare i cento anni della rivoluzione. Cominciamo subito col dire che non è autobiografica. Piena di strafalcioni storici (non serve essere un cattedratico basta avere studiato storia alle scuole superiori) ci consegna un Trotsky cyberpunk vestito con cappotti di pelle nera lucida che ammazza i conigli a martellate e si prende beffe dialetticamente di Sigmund Freud (che perlatro non ha mai incontrato). L’esilio in Messico, la presa del Palazzo d’inverno, gli amori bollenti fino alla morte nel 1940 per mano di una sicario di Stalin. Come ha ammesso il regista Alexander Kott sul Manifesto non è un documentario. I leader dei bolscevichi sono descritti come personaggi grotteschi e spietati, pieni di fascino ma senza ideali, animati dal potere fine a se stesso ma preda dei loro istinti sessuali. Lenin è un ometto rancoroso che guarda tutti male con diffidenza e sfida. Stalin sembra uscito da una fiaba dei fratelli Grimm. Lo stesso Trosky sembra una versione sfigata di Terminator. E non poteva essere altrimenti. La criminalizzazione di quel pezzo di storia russa è in linea con il giudizio dell’attuale Governo. La modernizzazione nello stile e nel linguaggio di quei personaggi non però priva di spunti interessanti. Del resto chi ha detto che le serie tv non sono documentari. Qualche licenza la possiamo anche concedere. Peraltro, la serie è pure andata benone in Russia quanto a indici di ascolto.