Eravamo io e mia moglie. in questo grande stanzone affollato e gelido come sa essere solo l’anagrafe di Milano a febbraio in un giorno di punta prima del virus. Ma più algido, con mobili di plastica bianchi, barelle da ospedale e mini-sale d’aspetto con sedie d’acciaio. Su più piani e con tanti uffici ognuno con una sua targhetta. L’atmosfera era quella di quando si faceva a 18 anni i tre giorni di militare: gente con la divisa che ti dà ordini, centinaia di ragazzi in fila che parlano forte e tu che vorresti essere altrove. Dovevamo consegnare dei documenti, firmare e certificare cose per il Covid-19. Non lo sapevamo bene neanche noi quello che dovevamo fare. Ed eravamo confusi e nervosi. Io più di tutti perché la burocrazia mi agita e mi fa sudare le mani. Infatti tenevo stretto stretto il mio smartphone perché avevo dei dati che sapevo poi dovere trascrivere in un modulo. Ma avevo perso la password, non mi ricordavo quale domanda avevo messo per il doppio controllo di sicurezza se il mio migliore amico d’infanzia o il nome del mio cane, e tra l’altro non avevo controllato se mi ero portato dietro la patente. Quindi non stavo bene. Passavamo da un ufficio all’altro, nei corridoi si incontravamo a gruppi colleghi di lavoro, amici di infanzia e vicini di casa. Ma non eravamo gli stessi, eravamo diversi. Tipo c’era Colombo che non lo vedo da anni perché vive a Roma e a mia memoria non ha mai avuto un capello in testa che portava con naturalezza un casco di riccioli grigi. Non c’era tempo di salutarci perché si andava tutti di fretta, solo qualche cenno del capo e qualche sorriso di circostanza. Poi io ero in sbattimento per totale per i documenti e non avevo tempo per nessuno. Allo sportello il tipo mi dice di darmi l’autocerficazione di quando sono andato in banca durante il lockdown. Guardo mia moglie che sgrana gli occhi come se fosse la richiesta più normale del mondo. Io rispondo che nessuno mi aveva detto di conservare le autocerficazioni e in quanto autocerficazione posso farne una al volo. Lui mi dice che gli serve l’originale. Io protesto perché stiamo parlando di una autocerficazione. Mi sale l’ansia e la carogna. Ma subito mi accorgo che sono in difetto su tutto e che non ho una penna a portata di mano che invece mi sarei dovuto portare. A quel punto mi sveglio.
Da quando siamo tornati zona rossa – vivo a Milano – dormo male. Qui racconto quello che sogno. Quando sogno.