Gli algoritmi che descrivono il nostro mondo. E sotto l'intervista a Laszlo Barabasi, teorico delle reti.
I fisici delle particelle possono prevedere con la precisione di un picometro la traiettoria di un protone, gli ingegneri spaziali riescono a lanciare un robot calcolando quando e come atterrerà su Marte, ma se ci chiedono dove sarà domani il nostro vicino di casa ci sentiamo persi. Sembra una battuta alla Woody Allen, ma Albert-László Barabási non ci ha dormito la notte. «Potremo mai sperare di descrivere il comportamento umano con la stessa precisione con cui riusciamo a descrivere il mondo materiale?», si è domandato il giovane fisico ungherese – appena 43 anni – direttore del Centro di Ricerca per le Reti Complesse alla Northeastern University di Boston. La risposta che si è dato non è banale. È raccolta in due saggi ("Link" e "Lampi") e in numerosi articoli scientifici e rappresenta uno dei tentativi più convincenti e controversi di individuare le leggi che governano le nostre azioni.
«In passato gli scienziati non avevano né i dati né gli strumenti necessari per studiarci. I batteri non si irritano se li analizziamo al microscopio – spiega a Torino Barabási pochi istanti prima di ricevere prestigioso Premio Lagrange (Fondazione CRT 2011) -. Oggi i telefonini, internet, i social network ci consegnano quantità di dati fino a pochi anni fa inimmaginabili su cui poter lavorare». Volontariamente o involontariamente lasciamo tracce digitali che i ricercatori possono raccogliere in database e analizzare attraverso sistemi di calcolo parallelo. I risultati sono sorprendenti. Viste dall’alto attraverso gli strumenti della statistica, le leggi che governano le reti sociali non sono diverse da quelle che muovono i sistemi biologici complessi. Lo scienziato in procinto di partire alla volta della Harvard Medical School per studiare questa volta le relazioni tra le reti dei geni e l’insorgenza delle malattie nel suo ultimo libro individua nella legge di potenza – lampi di iperattività intervallati da andamenti più regolari – una chiave di lettura capace di avvicinare il nostro comportamento quando scriviamo una mail al volo degli uccelli in cerca di cibo, i movimenti della borsa agli spostamenti umani. «L’evoluzione procede a lampi – scrive Barabási nel suo libro-. Le nuove specie compaiono in periodi che durano decine di migliaia di anni, un istante in rapporto ai tempi dell’evoluzione… Come fa una proteina che governa l’attività dei nostri geni a capire come e dove attaccarsi al Dna? Secondo i biologi sistemici usa una strategia a raffiche. Anche la scienza, volendo, compie grandi balzi in avanti e piccoli passi e circoscritti che sembrano non portarci da nessuna parte».
E il comportamento umano? Secondo lo scienziato è regolato dalle priorità che ci imponiamo, perché sono le nostre preferenze a determinare se un compito sarà svolto subito o rimandato. Ma la nostra mobilità è certamente governata dalle leggi di potenza: la maggioranza delle persone si muove poco e in alcuni casi anomali percorrono regolarmente centinaia di chilometri. «Questa osservazione ci ha permesso di elaborare un algoritmo che prevede la posizione di una persona 93 volte su centro». In sostanza il software si sbaglia solo nel percorso dei luoghi più frequentati.
L’intuizione suggerisce che non siamo poi così diversi dalle molecole di un gas, almeno negli spostamenti. Ma per quanto possa apparire una provocazione al libero arbitrio, la crociata di Barabási contro la casualità in realtà rappresenta un metodo di studio per prevedere l’evoluzione dei sistemi complessi, una nuova statistica sociale che però solleva più domande che risposte. Se le nostre azioni sono governate da regole e meccanismi che nella loro semplicità potrebbero avere la stessa capacità predittiva della legge di Newton è possibile descrivere la società come una rete di relazioni complesse. In teoria sarebbe così possibile studiarne le leggi, individuare i nodi più vulnerabili della rete e da qui controllarne l’evoluzione. Economisti come il presidente della Bce Jean Claude Trichet si sono sbilanciati auspicando l’uso degli strumenti della scienza della complessità per prevedere e quindi abbassare il rischio di instabilità. Politici e amministratori potrebbero organizzare servizi di comunicazione, trasporto, energia emulando la struttura di reti biologiche più stabili. Ci si potrebbe spingere oltre: immaginando società progettate come ecosistemi del mondo animale. «Gli scienziati – sorride Barabási – spesso sono incapaci di pronosticare le conseguenze del proprio lavoro».