Nei sogni all’incontrario l’Italia scoppia di banda larga, la fibra è ovunque, città e paesini sono cablati, perfino sui monti più alti e nelle isole più piccole c’è la rete. Meglio di Singapore e della Korea, insomma. Nei sogni all’incontrario l’italia ha risolto il problema del digital divide, dell’accesso, offrendo connessioni a prezzi bassissimi. Ma anche in queso scenario onirico servirebbe un’altro sogno, quello che vede l’Italia nei primi posti anche nell’uso di internet, un paese che senza lacune di digital litteracy o per dirla in altro modo di alfabetismo digitale. Un sogno nel sogno per dirla alla Inception, un sogno che a un linguista come Tullio De Mauro pare ancora particolarmente fragile: «Se prendiamo come buono quel 40% circa di italiani che dice di navigare su internet, la percentuale di chi usa il web si dimostra paradossalmente di gran lunga superiore a chi legge libri e comunque a chi più in generale sa orientarsi in una società contermporanea. Uno studio severo ma proprio questo interessante di alcuni anni fa che ha interessato l’Italia dimostra come solo un italiano su cinque, praticamente il 20% della popolazione, possieda gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo. Legge, capisce e sa usare la rete per le proprie necessità. A questa cifra percentuale va sommato un ulteriore 9% che non non interagisce sempre in modo efficiente ma almeno comprende scritttura, grafici, i bottoni insomma quanto viene pubblicato sulla rete».
Se i numeri non mentono allora sette italiani su dieci tra i 15 e i 65 anni sono tagliati fuori dai benefici dell’economia della conoscenza. Il che – agggiunge il linguista che lunedì sarà a Roma all’Internet Governance Forum – aiuterebbe a spiegare perché l’Italia rispetto ad altri paesi sembri inchiodata a quel 40 per cento». Sicuramente fa fatica a crescere in termini di accesso al Web. Certamente il caso italiano risente del digital divide e della mancanza di incentivi per la banda larga ma anche – e per De Mauro soprattutto – della «scarsa capacità alfabetica di profondi strati della popolazione».
A parziale conferma di questo scenario interviene lo studio Istat del 2008 che individua nella «mancanza di capacità» le ragioni che inducono il 40% degli italiani a non accedere al web. Problema che interessa non solo il nostro Paese tanto che anche l’Ue sta studiando misure per affrontare la digital litteracy. «Sta emergendo in ambito europeo la necessità di sviluppare nuove forme di competenza – spiega Laura Sartori, sociologa all’università di Bologna –. Ci si è accorti che il problema non è solo l’accesso ma anche la comprensione. Da qui il pericolo di andare incontro a forme di disuguaglianza digitale». Il rischio di asimmentria informativa è sempre più presente all’interno della popolazione. «"The rich get richer" – aggiunge – chi sa già usare la rete in ambito conoscitivo staccherà chi per una ragione o per un’altra non ha accesso». Insomma, chi parte tardi arriva tardi, difficilmente si riuscirà a colmare il distacco. Un allarme non condiviso da tutti. Prima della presidenza Obama le politiche Usa scommetteva sul fattore generazionale. In Europa invece il dato anagrafico non ritenuto sufficiente per accorciare le distanze. «Anche i cosiddetti nativi digitali – precisa la sociologa – per quanto mostrino un miglior adattamento al medium rispetto alle generazioni più vecchie, hanno bisogno di formazione, educazione alla privacy per esempio. Competenze che non acquisisci semplicemente navigando».
su nova 24 del 22 novembre