«Non esiste telecamera intelligente migliore del cittadino. Sembra una banalità – scherza Ernesto Belisario, avvocato ed esperto in diritto delle nuove tecnologie –, ma chi meglio di noi può segnalare alla Pubblica Amministrazione buche nella strada, semafori che non funzionano e disservizi vari? Chi meglio del cittadino può fornire dati a chi gestisce la cosa pubblica?». Di riflesso, chi meglio di Comune, Provincia, Regione e di tutti quegli enti che collezionano dati pubblici può "restituire" ai cittadini e alle imprese quelle informazioni utili a disegnare servizi di nuova generazione? Rispondere a queste domande – retoriche – significa immaginare applicazioni di Pa personalizzata. Con le informazioni in tempo reale del traffico dei mezzi pubblici si potrebbe immaginare un servizio online per segnalare quando l’autobus è sotto casa. Decidere con Skype e Google Maps la scuola per i propri figli, disporre su web dei risultati dei propri esami clinici insomma, con pochissima tecnologia e un po’ di banda larga si potrebbero inventare servizi veramente interattivi.
Per praticare un simile scenario la conditio sine qua non è disporre di dati liberamente accessibili da parte di tutti, senza restrizioni di copyright, brevetti o altri meccanismi di controllo. Sembra facile? Negli Stati Uniti, Barack Obama ha chiesto alle amministrazione di pubblicare tutti i dati pubblici in suo possesso su internet. In Italia invece il presidente americano faticherebbe ad applicare la sua direttiva sull’Open Government. «Qui da noi – spiega Belisario – ci sono due ostacoli. Il primo è di carattere organizzativo: le amministrazioni spesso non hanno consapevolezza del loro patrimonio informativo. Il secondo è di natura normativa: le regole in tema di privacy, copyright e trasparenza amministrativa andrebbero ripensate. Partiamo dal copyright. Prima di mettere online un dato, l’ente deve stabilire per ogni tipo di informazione a chi appartiene e in caso affermativo se può essere concessa la libera riutilizzazione».
Spesso le amministrazioni non sanno quali sono i dati che hanno e soltanto una minima parte di questi è digitalizzata. L’altro aspetto da prendere in considerazione è la normativa sulla privacy. Quando nel marzo 2008 l’Agenzia delle Entrate pubblicò i dati dei contribuenti, anticipando in un certo senso l’operazione trasparenza del ministro Renato Brunetta, il garante intervenne in modo deciso facendo sparire da internet il documento. «Quella vicenda – prosegue Belisario – ci insegnò che qui da noi non tutto quello che è pubblico è pubblicabile. Un conto è chiedere in qualità di cittadini informazioni pubbliche direttamente agli uffici, un’altro è pubblicarle su internet. Quando poi, due mesi dopo, Brunetta chiese di pubblicare sui siti del ministero i dati relativi ai curricula, ai redditi del personale, il compromesso con il Garante della privacy fu di rendere inaccessibili tali informazioni ai motori di ricerca. Questo perché le amministrazioni devono sempre rispettare il principio di proporzionalità del Codice Privacy, ponendo attenzione anche al "diritto all’oblio" degli interessati». Queste due situazione hanno reso chiaro che nel trade off privacy-trasparenza occorre sempre valutare caso per caso. Nessuno dei due prevale. L’altra differenza – non da poco – è che nel sistema americano il cittadino ha diritto ad accedere a qualunque informazione pubblica. Nel nostro ordinamento, invece, «la conoscibilità dell’informazione pubblica è subordinata all’interesse». In altre parole, per avere accesso a determinate informazioni, i cittadini devono dimostrare un interesse qualificato. «Ecco perché – afferma l’avvocato – in assenza di un ripensamento di privacy e trasparenza, la filosofia dell’open data resta per le amministrazione una scelta facoltativa». Che però non esclude casi di amministratori che studiano e sperimentano come "esportare" all’esterno il know how pubblico. In Veneto Claudio Dario è anche presidente del Consorzio Arsenàl, un centro di di ricerca per la sanità digitale: «Dal 2004 come Ussl di Treviso siamo i primi a consentire l’estrazione dal nostro sito dei referti. L’idea è trovare soggetti privati come banche o internet provider interessati a raccogliere tutti i dati digitali del paziente, non solo dalle Ussl ma anche dalle altre strutture per offrire un libretto sanitario elettronico». Sul fronte privato, Engineering (si legga l’articolo in basso) all’Expo di Shanghai ha presentato Smart Cities, un servizio di mash up che intende fornire servizi interattivi della Pa attraverso gli strumenti del Web 2.0 (Facebook, Google Map, Skype, ecc.). Su quello invece del cittadino l’ultima iniziativa degna di nota è www.pazienti.org, una piattaforma collaborativa tra pazienti e operatori sanitari.
«Questi casi dimostrano bene che per innovare nella Pa non servono macroinvestimenti o piani quinquennali mastodontici – commenta David Osimo, direttore e socio di Tech4i2, società di consulenza per le politiche pubbliche –. Il Pubblico dovrebbe semplicemente occuparsi di rimuovere gli ostacoli. Nient’altro. Per esporsi a quelle che Nassim Taleb (l’autore del "Il cigno nero", ndr) definisce serendipity positive, non resta che lasciare liberi gli innovatori di innovare».
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pubblicato su Nova del 13 maggio 2010