Un loft spoglio ma solo in apparenza. Pochi tavoli, molti Apple, un calcio balilla e delle opere di artisti russi. Questa è la sede milanese di Cascaad. Qui Erik Lumer ha tutto quello che gli serve per la ricerca e sviluppo del suo nuovo progetto imprenditoriale. L’applicazione Cascaad per smartphone lavora su Twitter, sui social network e vuole scoprire quali sono le informazioni che possono essere interessanti per l’utente. «Siamo filtro e ricerca al tempo stesso. Ogni giorno ci sono 50 milioni di tweet, 60 milioni di status upgrade su Facebook e 5 milioni di post su Google Buz. Noi cerchiamo la tecnologia – sorride – per dare un senso, un contesto al flusso di informazioni che attraversano le reti sociali». Studiosi del calibro di Lumer sono rari in Silicon Valley, figurarsi in l’Italia. Quarantatre anni, di origine belga si specializza a Stanford e allo Xerox si occupa Ecology of computation ovvero sistemi aperti, algoritmi di sistemi distribuiti. Insieme a matematici, ingegneri e informatici studia nell’89 la rete come è oggi, con venti anni di anticipo. A Londra fonda con Silvio Scaglia Babelgum e poi tre anni fa si lascia in malo modo con l’ex a.d. di Fastweb oggi indagato nell’inchiesta per truffa all'erario e riciclaggio. Arriva quindi in Italia «anche» per stare vicino alla famiglia della moglie.
Prima dell’intervista Lumer è occupato a discutere fitto fitto con un ragazzo che lo ascolta concentrato. È appena tornato da Austin dove ha partecipato al Sxsw a Austin nel Texas, uno degli appuntamenti più attesi da geek, creativi e imprenditori del web.
«C’era grande attesa per Twitter. Tutti si aspettavano l’annuncio di una nuova piattaforma di advertising, capire qualche cosa di più sul modello di business. Invece si è parlato molto di geoloocalizzazione, un servizo che diventerà forse solo una feature all’interno di un sistema più complesso». Il problema per Lumer è l’immobilismo di Twitter. «Forse hanno paura di sbagliare, hanno spinto molto sulle star per attirare gli early adopters ma ora non hanno capito come diventare main stream. Correttamente hanno scelto di fare gli architetti. Ma ad aspettare risposte c’è un ecosistema di sviluppatori. Pochi di loro guadagnano soldi ma tutti sanno benissimo che qualsiasi cambiamento può avere effetti drammatici sul proprio destino». Oggetto del contentendere è anche l’accesso ai dati di Twitter. Per ora solo Google e Microsoft hanno sborsato milioni per avere il flusso dei tweets. Gli altri stanno trattando. Tra questi naturalmente c’è anche Cascaad. Con la loro tecnologia riescono a intercettare e compiere ricerche sul 15-20% di tutto il traffico. Esisterebbe una trattativa per aumentare questa percentuale. Ma se il flusso di dati del passaparola è un tema di contratti, il problema tecnologico è un’altro. «Il linguaggio è per sua natura ambiguo. La semantica – spiega Lumer – non si riesce a risolvere tecnologicamente al 100 per cento. La sfida attuale è limitare il contesto ovvero dare un senso alle informazioni. Un esempio: in questo momento stiamo lavorando alla contestualizzazione delle conversazioni. C’è un flusso molto alto di messaggi, il comportamento degli utenti caratterizzato da una fruizione molto veloce. Come estrarre quindi valore da questa ecosistema? La nostra idea è attraverso la pubblicità involontaria contenuta nel passaparola. In altre parole, sono gli utenti che discutendo propongono occasioni di acquisto». La piattaforma per l’advertising di Cascaad si propone così di usare il messaggio stesso come vettore di una transazione. La tecnologia analizza semanticamente quello che gli utenti si dicono, individua un prodotto e suggerisce un acquisto. La difficoltà è capire se parlando ad esempio della cantante Lady Gaga l’oggetto interessante è una foto, una canzone, un libro o semplicemente informazioni.
«Capire quali parole si prestano a una transazione è più un’arte che una scienza – osserva il ceo di Cascaad -. Lo stesso in parte accade per il giornalismo. Un dei seminari più interessanti a cui ho partecipato a Austin è stato appunto sull’informazione. La domanda che si è posto Jay Rosen, professore di giornalismo alla New York University è appunto come fornire un contesto alle news. Il mezzo-giornale si sta trasformando. Se domani l’80% delle persone leggerà notizie sull’iPad sarà importante capire quali tag utilizzare per approfondire una notizia. Naturalmente la risposta non è dentro un algoritmo ma nell’architettura di una professionalità editoriale destinata a evolvere».
Lumer interrompe l’intervista. Un’altra telefonata dalla California. In qualche modo anticipa la domanda successiva: ma ha senso lavorare su queste tecnologie in Italia? «Presto apriremo un ufficio anche in Silicon Valley ma solo per questioni commerciali. La ricerca la teniamo qui. Per lavorare su progetti a lungo termine l’Europa è meglio degli Stati Uniti. C’è meno competizione, più tempo per la ricerca. Si ricorda il ragazzo con cui stavo parlando? Era un dottorando di informatica, un talento, esperto di web semantico. Un professionalità difficile da trovare. In California sarebbe stressato, magari alle dipendenze di Twitter o Facebook su progetti a brevissimo termine. Qui da noi può lavorare con più calma e guardare più lontano».
pubblicato su nova23 del 1 aprile 2010