Come glielo spieghi a un bambino di cinque anni? Che, per un po’, non potrà vedere i suoi amichetti. Che non dovrà svegliarsi per andare all’asilo e che i nonni lontani non potranno venire più così spesso? Come glielo spiego a Zeno che c’è il Coronavirus? Che è là fuori, invisibile, che si attacca alle mani e che va via solo se te le lavi bene sotto l’acqua tiepida? All’inizio ho fatto fatica. Perché ho sperato di potergliene parlare meglio a cose fatte. Magari tra un paio di settimane con il ritorno alla normalità. Ci ho sperato, lo ammetto, anche se ho letto e provo a leggere tutto, il più possibile. Sarebbe stato più facile, spiegare usando il passato prossimo. Poi però, le persone per strada con le mascherine, il rituale in bagno delle mani, il papà che fa “shhhhh” quando ascolta il telegiornale. Come fai a fare finta di niente? Loro, i cambiamenti li vedono, li sentono, li respirano più di noi. E allora è meglio dire tutto. Subito. Come se fosse un adulto, perché per me un bambino è un adulto in miniatura che ancora deve imparare tutto. Ma come si fa, quando te lo trovi lì, davanti a te seduto come un soldatino, con due occhi così che ti guardano e ti chiedono quando ti decidi a giocare? Ho provato anche a spiegare cosa è un virus, a disegnarlo su un foglio, a inventarmi la “battaglia” con gli anticorpi buoni. A buttarla sullo scherzo, che poi è la cosa che mi riesce meglio e a programmare giornate di giochi in casa. Ho provato a fare finta di niente. Ma non è riuscito per niente. Per quanto però mi sforzassi la verità è che sono preoccupato anche io. Che ci sono, ci siamo dentro tutti. E il fatto di essere genitori non cambia le cose. Per quanto possa studiare e informarmi non sono impermeabile. Loro, i bambini, i figli, sono spugne, sanno tutto di noi, sentono tutto con una sensibilità che abbiamo dimenticato. Sono appesi al nostro umore. A volte non capiscono e quando non capiscono pensano di essere loro la colpa di tutto. Forse è proprio questo che devo imparare. Prima dei giochi, della spiegazioni, delle strategie di intrattenimento. Prima di tutto, devo sforzarmi a essere me stesso. Devo accettare che ci saranno momenti difficili, condividerli con lui senza sottrarmi. Trovare il modo di spiegare a un bambino che il papà a volte è ansioso, rassicurarlo che poi gli passa e che è più forte che mai. Vuole dire dargli e darmi prospettiva. Che poi è quello a cui servono i genitori.