Etnografia videoludica

Per tutti gli anni Ottanta nelle università il tentativo era classificare le tribù che si organizzavano ed esprimevano su internet. Comprendere le dinamiche per individuare i tratti distintivi di coloro che erano considerati pionieri. Fino al 2000 quindi ricreare il contesto comportava distinguere analogie e differenze tra reale e virtuale. La rete come vetrino da osservare al microscopio. In questo contesto, la metafora più forte e più fertile è stata quella dei mondi virtuali, da Second Life fino ai giochi di ruolo online. La letteratura è ampia e si è evoluta nel tempo. I fondamenti li hanno gettati personaggi come Richard Bartle che oggi insegna computer game design ma che nel 1978 disegnava mondi virtuali. O come Edward Castronova a cui si devono i primi studi su riti, economia e comportamenti all’interno dei mmorpg. Questi mondi in 3D, per quanto rudimentali nella grafica e limitati nell’interazione, vengono interpretati come laboratori dove sperimentare relazioni sociali. In questa prima fase, gli articoli accademici si concentrano sull’individuazione dei riti (matrimonio, funerale ecc). Lo scopo è duplice: comprendere le logiche di funzionamento e l’impatto delle tecnologie nella nostra sfera sociale. A partire dal 2000 assistiamo a un salto di qualità. Una nuova generazione di ricercatori tra cui Tom Boellstorff e Chia-Yuan Hung, iniziano ad applicare in modo più rigoroso i metodi dell’entografia ai cosidetti game studies. I mondi virtuali da oggetto di studio diventano parte di una analisi che pone con più forza al centro il contesto. Cambiano gli strumenti e l’atteggiamento del ricercatore. I giochi di ruolo smettono di essere un buco nella serratura per spiare pratiche sociali ma diventano parte del rito. Un esempio è l’articolo di Chia-Yuan Hung sui riti di adolescenti migranti asiatici a New York. Lo studio abbraccia Mmog come Lineage II ma mira ad analizzare l’etnia all’interno di un contesto reale, nei luoghi di ritrovo dove i ragazzi si incontrano per giocare. In questo senso, il mondo virtuale diventa al tempo stesso luogo, rito e strumento di analisi. In uncerto senso come ha scritto la ricercatrice Vili Lehdonvirta, i mondi virtuali smettoni di esistere. Una parabola simile ma con implicazioni ancora più interessanti hanno i social network. I riti trovano espressione nel grafo sociale. Come ha scritto l’antropologa Mitzuco Ito, i media diventano il contesto di analisi etnografica e al tempo stesso una "scatola nera" aperta ai ricercatori.