Terza e purtroppo ultima puntata dei racconti di Claudia Luisa sul Nepal. Buona lettura
Caprette sacrificate al dio del cielo hindu Akash Bhairab per scongiurare avarie aeree. Partenze e atterraggi falsi, uffici deserti o inesistenti, deportazioni forzate in aeroporto e alberghi fantasma mi hanno insegnato che prima di prenotare un viaggio, bisogna fare molta attenzione alla compagnia aerea a cui ci si affida.
Il 29 agosto Tana, la guida nepalese, convoca il mio gruppo per confermarci una brutta notizia che aleggiava sulla stampa locale da giorni e che noi, ignari viaggiatori occidentali, avevamo sottovalutato e minimizzato. Tutti gli aerei della compagnia di bandiera nepalese, la Royal Nepal Airlines, sono guasti e i collegamenti internazionali sono cancellati. Il nostro volo, previsto il 1 settembre, è spostato ad una data indefinita che varia di ora in ora e copre un arco temporale che va dal 30 mattina al 13 settembre. Sul momento non mi è sembrata una notizia così preoccupante anche perché avevo l’intima certezza di poter essere dirottata su qualche volo delle altre compagnie aeree che servono la tratta Kathmandu resto del mondo. Ma il mio ottimismo è stato smontato in poche ore. Scopriamo che la compagnia di bandiera ha solo 2 aerei, due boeing 757 direttamente ereditati dagli anni 80. E che tutti gli altri voli sono pieni, eccetto le varie Business Class,troppo costose sia per le nostre tasche, sia per quelle dei dirigenti Royal Nepal. La guida, tipicamente nepalese, con una calma serafica che avrebbe fatto innervosire anche il più pacifico degli occidentali, ha provato a tranquillizzarci assicurandoci che la compagnia ci avrebbe ospitato a sue spese nel più bel albergo di Kathmandu. E così è stato per un giorno. Peccato che il suddetto albergo, in teoria pluri stellato, sia cadente e sporco più dei lodge dispersi in montagna, che i noti e frequenti black out della capitale colpiscano anche questa struttura e che la cena a buffet sia peggio del solito riso e lenticchie. “Cosa c’è di meglio di una settimana di vacanza in più a spese altrui?”, continua a ripeterci la guida senza cogliere tutto il fastidio e lo sconforto che mi assale più volte, ad ondate alterne. Non riesco a capire come sia possibile che nessun nepalese capisca che devo tornare in Italia perché ho lo stage da finire. In questo paese il lavoro è scandito da ritmi a incomprensibili legati ai bisogni e non agli obblighi.
Riassumendo, dopo 2 giorni passati tra la sede deserta della compagnia aerea e alberghi della capitale in attesa di notizie sensate su un nostro possibile decollo, la mattina del 31 ci caricano su un pulmino turistico e ci mollano al check-in. Mi sento un puntino disperso nel mondo, o un pollo in gabbia a seconda del panorama che scorgo dal finestrino. Sbrigate tutte le procedure di imbarco ci assicurano che il nostro volo sarebbe partito alle 14 ora locale. Intanto scopriamo che l’aereo su cui dovremmo imbarcarci è reduce da un atterraggio d’emergenza e che, vista la pioggia, non è ancora stato riparato. Quindi non è affatto sicuro che riusciremo a decollare, e soprattutto ad atterrare a Dubai. Finalmente la sera, tra lo stupore generale, gli addetti dell’aeroporto iniziano ad imbarcare tutti gli italiani, 70 circa, che vogliono lasciare il paese. Destinazione obbligata Dubai. L’aereo decolla misteriosamente ma le hostess, di solito prodighe di sorrisi, sembrano tese e impaurite. Tutte hanno il Tika, il terzo occhio, che nell’induismo è di buon auspicio. Intanto in aereo succedono cose incomprensibili, una macchia d’acqua sulla moquette che cresce costantemente, il pilota che lascia la cabina di pilotaggio e si siede con i passeggeri a leggere il giornale, il copilota che cerca di arginare la macchia e chiacchiera animatamente con le hostess… Arrivati su Dubai iniziamo a scendere di quota fino quasi a toccare la pista e poi risaliamo e vaghiamo per i cieli della città dei minuti che mi sono sembrati un’eternità. Non so cosa sia successo e non lo voglio sapere. So che quando atterriamo mi sento salva ma mi accorgo che stranamente il nostro aereo è parcheggiato nell’aerea destinata al trasporto merci.
In Italia scopro che i dirigenti della Royal Nepal, invece di far riparare l’aereo hanno investito gli ultimi soldi in cassa per comprare due caprette e sacrificarle dio del cielo hindu, “nella speranza di placare le sue ire”.
Il Nepal è anche questo, e se “Tika”, “Puja” e sacrifici animali sono serviti a riportarmi in patria più di meccanici e ingegneri la mia razionalità và davvero a rotoli.