Quando si ritorna da un viaggio in India non si può non dire qualche cosa. Qualche cosa di forte. Non te la cavi con un paio di aneddoti. Ti senti quegli occhi indecisi tra il triste e l’emozionato che chiedono: “ Chissà che viaggio e chissà quante cose terribili avrete visto?”. E tu? Hai quasi l’obbligo di rassicurarli. Senti l’urgenza di raccontare le albe sul Gange, i sorrisi dei santoni e gli occhi dei bambini. Ma anche la povertà, la sporcizia ovunque e l’odore insopportabile. Sai che qualche cosa è cambiato ma non hai ancora capito che cosa. E, cosa insopportabile, ti senti in dovere di recitare la parte di quello che è tornato diverso. Davanti a una macchinetta del caffè mi sono anche stupito nel sentire la mia voce che bofonchiava: “Non lo so come sto. Aspetto ancora che il viaggio si sedimenti”. E mentre lo dicevo vergognandomi come un ladro sentivo Goozo ridere come un matto. Lui fa lo sbruffone ma in più di una occasione l’ho visto pallato. Ma almeno lui non ha il problema di sentirsi in obbligo. Queste esperienze se le sa smazzare da solo. E se ne frega delle aspettative. Sa che anche per lui qualche cosa è cambiato, ma non ha ancora capito cosa.