Le risposte di solito sono piuttosto lunghe (2-3 minute). Quando si interrompe la parola passa al traduttore che con voce inespressiva e ritmo da speaker dell’anagrafe comincia la traduzione. A questo punto tu non sai se affrontare lo sguardo spento di chi ti parla o Miyamoto che di colpo diventa inespressivo. Superato questa incertezza ti tocca misurarti con i tempi delle risposte. 3 minuti di giapponese di Miyamoto diventano 40 secondi scarsi del traduttore Nintendo. Il che solleva una irritante perplessità sulla bontà della traduzione. In realtà, Miyamoto segue tutto e con impercettibili cenni del capo sembra confermare quanto detto dal suo compare. I due tra l’altro si vede che si conoscono bene. Sono affiatati ma diversissimi. Il traduttore è un manager in classico stile nipponico, serio e misurato. Miyamoto è un folletto dagli occhi da bimbo. E’ magnetico come Willy Wonka della Fabbrica del cioccolato. Ma da solo è il solito papà di Mario. Mentre insieme al suo traduttore fa un effetto stupefacente nel vero senso del termine. Dopo mezz’ora di intervista, la tua concentrazione vacilla. Non riesci a stare dietro a personalità così diverse che dovrebbero dire la stessa cosa in lingua diverse. Il cervello si sdoppia, vive realtà opposte e sospese. Qualche giornalista mi ha confidato che durante l’intervista è entrato per alcuni secondi in trance e giura di aver visto distintamente Zelda vestita con una mimentica militare comparire alle spalle di Miyamoto. Altri, i più, invece hanno più banalmente intravisto SuperMario fare le boccacce al traduttore. In ogni modo l’esperienza è onirica e al contempo psichelica. Per certi aspetti molto Nintendesca