Invasioni virtualiche

A Washington hanno osato: una lente a contatto speciale, un miracolo nanotecnologico,<TH>concepito per portare la realtà aumentata direttamente sulla retina. Il progetto del bionanotecnologo Babak Amir Parviz intende montare su una singola lente microcircuiti, antenne, led, transistor tutto in scala nanometrica. Il prototipo è funzionante ed è in fase di sperimentazione ma ci vorrà ancora molto tempo prima di vederlo su un umano. Eppure, Parviz sa benissimo che la prossima fase della realtà aumentata sarà proprio la miniaturizzazione estrema dell’interfaccia, ovvero rendere invisibili le tecnologie che potenziano la realtà con testo, grafica e vettori in 3D. Paradossalmente era il sogno di Jaron Lanier e Antonio Medina, pionieri della realtà virtuale. Superare occhiali e guanti per immergerci in un universo in tre dimensioni completamente computerizzato. Un sogno alla Tron che ha prodotto decine di prototipi ma nessun prodotto di successo.
Eppure, l’intuizione di mondi virtuali dove poter progettare e sperimentare interazioni sociali nuove è rimasta. Anzi, ha trovato uno sviluppo vent’anni dopo nell’industria dei videogame e in alcuni settori di progettazione in 3D. Semmai è stata accantonata un’idea di immersività che ci voleva parte di un ambiente completamente digitale. Da questo fallimento nasce la realtà aumentata, meno ambiziosa ma forse proprio per questo più adatta a trovare applicazioni commerciali. In questa direzione va letto il fenomeno della moltiplicazione degli schermi all’interno delle nostre vita. Telefonini intelligenti, telecamere, tablet sono tutte lenti mobili che riprendono la realtà. Il software e la tecnologia al loro interno la arricchiscono. Ad accelerare la produzione di queste applicazioni arrivano i primi kit per la programmazioni di ambienti AR (augmented reality) per smartphone. Wikitude World Browser, Worksnug, Layar, Yelp Monocle, Robot Vision sono i nomi di alcune di queste apps per iPhone e Android. L’integrazione con il Gps rende questi software particolarmente interessanti perché incrociano le mappe e i contenuti sviluppati per esse con la telecamera montata sui dispositivi mobili. Tuttavia, per ora l’esperienza è straniante. Inquadrare un palazzo con un telefonino, interagire con gli elementi sullo schermo, connettere i due "mondi" non nè immediato nè comodo. Ma applicazioni come quella che ti consente di individuare la macchina nel parcheggio vanno nella giusta direzione. Come anche tutti quei programmi che leggono un marker 2D (una sorta di codice a barre) attivano un software o lo trasformano sullo schermo in oggetto in 3D. Nella maggior parte dei casi si riduce a un effetto speciale buono per l’advertising innovativo e il marketing. Ma le potenzialità nel gaming così come nell’educazione e nei servizi evoluti sono ancora tutta da comprendere.
Particolarmente avanzato è lo sviluppo nell’industria dei videogame. Interfacce come Move di Playstation e Kinect per Xbox 360 vedono l’introduzione della telecamera nell’esperienza ludica. Una nuova generazione di videogiochi ci vedrà riflessi dentro allo schermo del televisore alle prese con oggetti virtuali. I sensori di movimenti sdoganati da Nintendo con la Wii e il 3D proposto da Sony promettono esperienze di gioco davvero immersive. Dove il corpo è sempre più interfaccia e i mondi virtuali "escono" dallo schermo. Paradossalmente – e non è solo una suggestione – grazie a queste tecnologie la visione di fusione digitale-reale di Lanier e di tutti i padri della realtà virtuale potrebbe vivere davvero una seconda chance.
pubblicato su nova del 23 settembre