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«I filosofi del medioevo avevano ragione: l’uomo è al centro dell’Universo, nel mezzo di un infinito tra spazio interno ed esterno. E non ci sono limiti». Lo dice rapito il chirurgo Peter Duval, uno degli scienziati protagonisti del film "Viaggio Allucinante". Davanti ai suoi occhi scorrono le immagini gigantesche di globuli bianchi trasmesse da un micro-sottomarino con tanto di micro-scienziati a bordo. Era il 1966, in quegli anni la fantascienza disegnò tecnologie, oggetti ed esperienze che sarebbero appartenute al futuro. «Per navigare all’interno del corpo umano – ricorda Paolo Dario, pioniere della robotica medica a livello mondiale – gli autori del film pensano bene di rimpicciolire il sommergibile. E per risolvere il problema della guida miniaturizzano pure il pilota. Noi – sorride – preferiamo lavorare su altre tecnologie per guidare una navicella nel sangue o all’interno dell’organismo».
Dietro quel noi c’è il Centro di Micro-BioRobotica Iit@Sssa, ma anche una decina di laboratori nel mondo che stanno percorrendo linee di ricerca alternative per intraprendere un viaggio che resta "fantastico". Sul "tavolo" micro-macchine, batteri sensibili ai campi magnetici, sistemi ibridi e bio-robot; macchine artificiali e biologiche che ancora stanno cercando una strategia di "invasione". A Pontedera presso la sede del Polo Sant’Anna Valdera di Pisa i maggiori esperti di biorobotica si sono dati appuntamento per fare il punto sulla ricerca. Sylvain Martel, direttore del laboratorio di Nanorobotics dell’École Polytechnique di Montréal sta addomesticando le macchine per la risonanza magnetica per guidare batteri all’interno dei distretti più impervi del sistema circolatorio. In Korea J.O. Park dirige la Robot Research Initiative e grazie a un piano decennale di finanziamento ha scelto un approccio più meccanico, adottando sistemi microrobotici artificiali mossi da magneti permanenti. Vale a dire trivelle di dimensioni micrometriche per aggredire le placche nel sangue.
Viste dall’alto queste ricerche affrontano con approcci e tecnologie diverse la navigazione all’interno di distretti e condotti che possono raggiungere dimensioni micrometriche, governati da forze potentissime e soggette a correnti e pressioni difficili da calcolare. Ci si interroga se usare batteri che si alimentano e "nuotano" senza bisogno di motori oppure strutture artificiali guidate da campi magnetici. Si stanno valutando quali macchine (risonanza magnetica, raggi X, ultrasuoni) riescono a localizzare meglio questi micro-robot? Quale motore potrà alimentare questo viaggio "allucinante". Ma anche come potrebbe reagire il nostro sistema immunitario. «Siamo ancora molto lontani da test clinici – spiega Arianna Menciassi, docente di biorobotica medica alla scuola superiore di Sant’Anna di Pisa –. Prima dobbiamo risolvere problemi di ordine meccanico e fisico legati al trasporto e alla navigazione. Operare su scale così piccole, nell’ordine del micron, vuol dire confrontarsi con forze enormi. I principi di progettazione che valgono su altre scale non funzionano più quando si vuole entrare in un capillare. Ecco perché siamo costretti ad avvalerci di tecnologie che sfumano nelle scienze di base. E in futuro potrebbero arrivare nuovi farmaci studiati per essere trasportati o per "armare" batteri». Per ora però Big Pharma non sembra particolarmente attenta a queste tecnologie. L’approccio adottato dalla medicina tradizionale è sistemico, la micro-robotica cerca invece di arrivare il più vicino possibile alla zona malata. Ma non è impossibile intravvedere all’orizzonte un punto di incontro. «Come la moderna chirurgia si è evoluta quando Pasteur chiarì il ruolo dei batteri nelle infezioni, così oggi stiamo vivendo una fase analoga – sostiene la ricercatrice -. Come robotici stiamo imparando dalla biologia, dall’ingegneria genetica e dagli studi sui nanomateriali. E loro da noi. È uno scambio».
Quello che sta accadendo nella sala operatoria, sta interessando anche altri campi di ricerca. La robotica si sta qualificando in questi anni sempre di più come una scienza della convergenza, un luogo verso dove si confrontano saperi diversi. Le neuroscienze e la psicologia stanno contribuendo a progetti come Synapse a Boston o iCub dell’Iit che vedono nel robot lo strumento per ripercorrere a ritroso l’evoluzione. La realizzazione di mani robotiche low-cost così come gli studi sulle batterie più piccole e più economiche aprono scenari di sperimentazione che possono contribuire all’introduzione nelle nostre case di nuove forme di intelligenza artificiale. In attesa di venire assemblato ed entrare nella case, il robot oggi è palestra per studiare nuove tecnologie e paradigma per simulare processi biologici. «Non sarà un processo così rapido – commenta Gianmarco Veruggio, ricercatore robotico del Cnr -. Chi si aspetta di chiacchierare con un androide dovrà ancora attendere. Ma sono convinto che la presenza robotica arriverà senza far tanto rumore, computer e forme di intelligenza artificiale sono già presenti negli oggetti che ci circondano, dal telefonino al navigatore satellitare. Cominceremo a fidarci delle macchine perché già oggi ci affidiamo a loro. Ma non avverrà subito, sarà un percorso a tappe».

pubblicato su nova del 17 marzo