Una casa di vetro per lo Stato

«I dati sono il nuovo oro del 21° secolo». Lo disse in tempi non sospetti Tim Berners-Lee. Il creatore del Web non avrebbe mai immaginato che dai server della macchina statale potesse uscire un nuovo patto tra cittadini e istituzioni. Neppure i tecnologi, tantomeno i politici. Coniugare democrazia e business nel nome della trasparenza.

Open data fa esattamente questo, spiega come incentivare la pubblicazione su internet di queste informazioni in modo da consentirne il riutilizzo da terze parti, come aziende e cittadini. Un concetto prima sussurrato tra specialisti, poi sdoganato e rilanciato con forza dall'amministrazione Obama e infine raccolto con entusiasmo anche in Italia da enti locali illuminati (Piemonte, Lombardia e Veneto tra gli altri) e cittadini attivi (Scraperwiki.com, Linkedopendata.it, Spaghettiopendata.org). Sono seguiti i contest (Apps4Italy). E con il portale di raccolta nazionale per i dati della pubblica amministrazione (Dati.gov.it), open data in qualche modo ha ricevuto un riconoscimento istituzionale. Il Governo Monti ha incluso nel programma dell'agenda digitale l'«apertura all'ingresso dell'open data, ossia la diffusione in rete dei dati in possesso delle amministrazioni».

E-government e open data costituiscono uno dei sei tavoli fissati dalla cabina di regia guidata dai ministri Passera e Profumo. Ma i giochi sono tutt'altro che chiusi. «Detenere il dato è una forma di potere e il potere si esercita con l'informazione – confida un dirigente della Pa che preferisce restare anomimo -. Se fossero stati pubblicati per tempo i bilanci dei partiti, mi creda, il caso Lusi sarebbe scoppiato molto prima». Meglio tenere i cassetti chiusi, quindi. «Paradossalmente esistono vademecum, best practice, manuali, c'è tutto. Manca però la cultura del dato – osserva Ernesto Belisario, dell'Associazione Italiana per l'Open Government -. E non si dica che è una questione di tagli al bilancio. In California con 20mila dollari hanno messo in piedi un servizio di open government che ne ha fatti risparmiare all'amministrazione 21 milioni. Il punto è che open data è il primo tassello per costruire un governo della cosa pubblica collaborativo e partecipativo. Come posso io Stato chiedere aiuto ai cittadini se non dò in cambio trasparenza? Ecco perché, secondo me, occorre andare oltre la moral suasion. Serve una norma che obblighi le Pa a mettere i dati online».

«Non sono d'accordo – osserva Renzo Turatto, capo del dipartimento della Digitalizzazione e Innovazione tecnologica (Ddi) -. La trasparenza non è auspicata, è obbligatoria. Semmai l'ostacolo vero è che il mondo della Pa è stratificato e complesso. La trasparenza è stimolo per fare comparazioni e non sempre le Pa sono contente di farsi misurare». Un modo gentile per dire che la competizione tra servizi potrebbe essere malvista. Imprenditori, startup e cittadini attivi hanno però l'occhio lungo. Per quanto piccolo nelle dimensioni esiste un mercato (e un interesse) a sviluppare software capaci di valorizzare l'open data.
Il passo preliminare è quello di censire la qualità e la quantità di dati in possesso delle Pa. Una operazione non banale. Engineering ha realizzato con il Comune di Bologna un nuovo indicatore – Open Data Application Index – per misurare in modo formale la propensione all'open data dei sistemi informativi. Il progetto partito nel settembre 2011 è durato tre mesi.

«Per darvi una idea: un sistema informativo di un grande Comune – spiega Davide Lipodio, direttore consulenza per la Pa di Engineering – oggi può arrivare a superare le 200 applicazioni e, poiché le competenze sono sostanzialmente le medesime, anche nei Comuni di medie dimensioni si può arrivare a superare con facilità le 100 applicazioni». Su Bologna, per esempio, sono state analizzati 179 programmi. «In queste settimane è in corso l'analisi dei risultati che permetterà di decidere a quali dati dare priorità e quali interventi effettuare per la generazione degli open data. Le prime indicazioni sono confortanti – sottolinea -. Le applicazioni che non gestiscono dati di una qualche utilità per cittadini, imprese e istituzioni si sono rivelate una minoranza». L'esperienza di Engineering con il Comune di Bologna ma anche quelle di soggetti come Spaghetti OpenData stanno dimostrando come estrarre un metallo prezioso ma instabile. «Le pubbliche amministrazioni – osserva Lipodio – rappresentano immensi giacimenti e le applicazioni informatiche che raccolgono, elaborano e trattano i dati pubblici possono essere considerate alla stregua di vere e proprie miniere». La tecnologia c'è, servono solo i minatori.