Diciamo subito che non si sentiva la mancanza di Toy Story 4: il ciclo del prodotto-giocattolo della Pixar era perfetto. Poteva fermarsì con lo splendido terzo episodio. Il quarto poteva essere un azzardo o peggio una operazione di marketing. A sorpresa Josh Cooley (Inside Out, Up e Rataouille) riesce nella mission impossibile di non essere mai banale o nostalgico. I suoi giocattoli si scoprono inquieti e adolescenti, ossessionati e co-dipendenti, disposti a tutto pur di soddisfare i propri bambini-padroni. Da tenere d’occhio Bo Beep, la pastorella. E’ lei il personaggio nuovo e più inaspettato di questo Toy Story, in definitiva un sequel di buone letture (c’è un po’ di Peter Pan con tutto il portato simbolico dell’isola dei bambini smarriti) non divertente come i primi due e meno di impatto. E’ il primo Toy Story che non fa piangere.
La storia? Si riparte da dove era finito il terzo capitolo. A casa di Bonnie arriva un nuovo giocattolo, Forky. Woody ha sempre saputo quale fosse il suo posto nel mondo e la sua priorità è sempre stata prendersi cura del suo bambino, che si trattasse di Andy o di Bonnie. Forky non è un giocattolo ma un progetto scolastico trasformato in un giocattolo. E’ una forchetta di plastica con la faccia di Pongo. Si autodefinisce “spazzatura” e non giocattolo, e già questo la dice lunga. Woody decide di mostrargli gli aspetti positivi di questa nuova vita. Inizia così un viaggio al termine della notte che porterà il cow boy-servente a mettersi in discussione. SPOILER Il passaggio nella forma ricorda quello dall’infanzia all’adolescenza. Il motore immobile del cambiamento è la bella pastorella Bo Peep che Woody ritrova in un Luna Park di provincia profondamente cambiata. Più tosta e avventurosa Bo ha scelto di diventare un giocatolo-smarrito. Un giocattolo che ha curato l’ossessione di soddisfare l’amore-del-bambino-di-riferimento ma ha acquisito con la consapevolezza di chi sceglie di essere libera di giocare con tutti i bambini.