Quarto anno del meeting. Sempre allo Iulm di Milano, aula 401. Questa volta pareva di essere nel film I guerrieri della notte, quando Cyrus riunisce tutte le gang della città. Al tavolo c'era il Mei, Minimum Fax, l'associaizone delle emittenti locali, Guido Scorza, le web radio, le radio universitarie, radio popolare, c'era anche uno del Secolo d'Italia (non vicino a quello di radiopop). C'era un sacco di gente che in comune aveva il fatto di non essere main stream, di non appartenere al ciruito ufficiale, di non essere in televisione (quel col telecomando) e di non vantare amicizie multinazionali. Gli artisti delle etichette indipendenti non passano nelle radio commerciali, le web tv non hanno (ancora) un bottone sul telecomando ma neppure su satellite, gli editori più piccoli devono studiare strategie multiformato.Tutti in qualche modo faticano ad emergere, accusano la mancanza di sostegno e dicono di soffrire la mancanza di un mercato di pubblicità attento anche a loro, alla coda lunga dei media. All'origine il peccato è un mercato televisiviso in mano a due soggetti, un sistema di emittenti locali (presenti al tavolo) costretta a raccogliere le briciole della pubblicità, una compagine politica che teme senza distinzione tutti coloro che maneggiano audiovideo, da giganti come Youtube a lillipuzziani come senape.tv. Da qui l'eccesso di regolamentazione paventato a più riprese fortemente criticato da videomaker, produttori amatoriali e webtivuisti vari. Il regolamento per radio e web tv emato dall'authority si è rivelato per fortuna più morbido di quanto temuto. Il testo prevede la comunicazione d'inizio di attività, contributi una tantum di 500 euro per le web tv e 250 per le web radio, l'iscrizione in un registro e una serie di obblighi che regolano le tv tradizionale. Se da un punto di vista economico il salasso paventato era molto più alto (si parlava di mille euro per le tv) sotto il profilo regolamentare gli obblighi paiono ai diretti interessati una burocratizzazione eccessiva per disincentifare chi vuole fare web tv. A chiedere regole uguali per tutti c'è anche Aeranti-Corallo l'associazione delle emittenti locali che per bocca del suo portavoce si è detto timorosa di un far west, di un "mercato" a doppia velocità con soggetti sommersi dalla scartoffie e altri senza obblighi. Associare Telelombardia o emittenti di questo calibro alle web tv della parrocchia o alla famiglia che parla appunto della parrocchia o a quella che racconta le ricette del suo quartiere è apparso francamente strumentale. Molte di queste micro realtà non aspirano a diventare emittenti nazionali. La maggior parte intedende semplicemente fare televisione, fornire un servizio, raccontare una storia. Sono più dei format televisivi che dei piccoli berlusconi. Sono un palinsesto alternativo, di creatività diffusa, di denuncia, telecamere accese su realtà che i grandi non raccontano. Se io fossi una emittente locale al posto di mandare in onda tutte le sere quattro anziani che guardano una partita proverei a proporre altro. Non tutte le sere magari, solo ogni tanto. Chiaramente non li ho convinti ma al termine del dibattito si respirava una strana eccitazione. Aver riunito intorno al tavolo "differenti" con problemi simili, la musica emergente delle etichette indipendi, le web radio, i piccoli editori e i videomaker non è stato un errore. Erano molecole simili capaci di instaurare legami inattesi. Sono uscito da quell'aula con questa consapevolezza. Hanno troppo in comune per dividersi. Come le gang dei guerrieri della notte. Poi sappiamo come è andata a finire. Ma quello è un film. O no?