Journalism at play

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Nel 2006 sul portale internet Shockwave.com viene pubblicata una nuova generazione di videogame. Airport security, Bacteria Salad, Oil God ed Extreme Xmas Shopping: modesti nella grafica, immediati nel gameplay ma con ambizioni che vanno oltre il puro intrattenimento. Come editoriali esprimono opinioni. Quattro anni dopo esce Newsgames di Ian Bogost, Simon Ferrari e Bobby Schweizer. Il libro da pochi giorni nelle librerie statunitensi è una raccolta di saggi che analizzano queste forme di interazione videoludica. La tesi è sorprendente e sta già facendo discutere. Secondo i ricercatori della Georgia Tech University questi giochi possono rappresentare un nuova strada per fare del buon giornalismo. «Partiamo dalla definizione. Per noi il giornalismo – spiega Simon Ferrari – non è una industria e neppure una professione, bensì una pratica che combina la ricerca dei fatti con l’interesse pubblico per produrre materiale che può aiutare i cittadini a compiere delle scelte.
I giochi che abbiamo analizzato sono simulazioni di sistemi complessi. Mettono il giocatore-utente all’interno di una esperienza che li mette in condizione di compiere delle scelte e osservarne le conseguenze. Un esempio è Cutthroat Capitalism (http://tinyurl.com/ptffe3), una combinazione di un articolo, una infografica e un gioco per aiutare i lettori e i gamers a capire le cause economiche e culturali che hanno prodotto il fenomeno dei pirati somali. Leggendo i giornali si apprendono le ragioni che hanno reso la pirateria un’industria profittevole. Giocando al gioco che entra nel merito dei processi di negoziazione, si sperimenta in prima persona come nella pratica i pirati possono minimizzare i propri rischi personali». Il gioco offre un’esperienza, per certi versi riduttiva, che però aiuta a entrare nelle logiche dei pirati. Tuttavia, il paragone con un reportage e un servizio televisivo resta complicato. «Produrre un articolo – osserva il ricercatore – richiede di intrecciare una complessa rete di informazioni che provengono da fonti differenti. Le buone notizie non si limitano a descrivere un evento ma cercano di spiegare il contesto. Disegnare un buon gioco richiede questo tipo di pensiero». La programmazione è lo studio delle regole. Scrivere un codice o un gioco significa quindi costruire attraverso l’interazione un sistema di regole che interpretano un evento.
Questi format interattivi però non sono privi di insidie. Il gioco a differenza di un articolo offre un’esperienza immersiva che agisce sulla nostra sfera emotiva senza filtri, come, e a volte con più efficacia rispetto alla parola scritta. «Il paragone con la scrittura e quindi con la stampa è corretto ma solo in parte. Così come un giornalista sceglie le sue fonti sulla base dei suo giudizi così un programmatore di Newsgames deve fare i conti con il rischio di costruire un gioco su basi ideologiche. C’è sempre una differenza tra il mondo reale e il sistema costruito per rappresentarlo. Esattamente come esistono articoli più o meno obiettivi così si possono costruire vari tipi di games». Il libro analizza tutti questi generi (documentary games, literacy games ecc) classificandoli sulla base dello scopo e dell’effetto che producono. Tuttavia, l’intento non è puramente descrittivo. Anzi, gli autori vogliono allargare lo sguardo al sistema dell’informazione nel suo complesso. «Siamo convinti che il giornalista possa migliorare il suo lavoro attraverso l’apprendimento del game design e allo stesso modo i programmatori dai giornalisti. Tuttavia non pensiamo che saranno i newsgame a far uscire il settore dalla crisi». osserva Ferrari. Semmai, in un momento come questo di incertezza e innovazione, questi giochi possono fornire dei suggerimenti, forme avanzate di sperimentazione. Come i quotidiani hanno iniziato a inserire vignette, parole crociate e infografiche per incontrare la domanda di parte del proprio pubblico così gli editori avranno bisogno di imparare come inserire i newsgame all’interno della propria offerta informativa. Certo non avverrà domani. Non tanto e non solo perché giornalisti e programmatori stanno iniziando a collaborare solo adesso. E peraltro in pochissime realtà editoriali illuminate. Perché chi crea newsgame ha forse una sfida in più. Non si può limitare a descrivere un fatto, deve necessariamente ricostruire il sistema dentro cui è inserito. Ma per dirla alla Matrix, prima deve entrare nel codice.
pubbllicato su nova del 28 10

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