Piero Viellini è infaticabile. Ha 64 anni, i capelli bianchi e occhi azzurri azzurri che non stanno mai fermi. Prima di andare in pensione lavorava in banca, da quattro anni ha una televisione, cioè ha una web tv che si chiama Pierodasaronno scritto tutto attaccato. Gira cinque video alla settimana, il suo studio di registrazione è il salotto di casa sua, come cameraman ha il vicino di casa. Nel varesotto lo conoscono tutti perché dove c’è un evento, una sagra, un politico che parla lui è lì a riprendere e porre domande. Dove c’è lui c’è la sua videocamera, non ha paura di nulla e non si stupisce di nulla. Quando a novembre gli hanno detto che avrebbe dovuto pagare tremila euro di istruttoria e compilare quasi quotidianamente un registro ha fatto una faccia lunga così. «Ma davvero? E adesso come si fa?», ha esclamato incredulo.
Pierodasaronno<TH>mentiva,<TH>non avrebbe mai chiuso perché la web tv per lui è una passione. Si sarebbe indebitato piuttosto che spegnere la telecamera. Ma secondo l’osservatorio Altratv con una decisione simile sarebbe morta la metà delle micro web tv. A dicembre l’Agcom ci ha infatti ripensato. Probabilmente aveva confuso Pierodasaronno.eu con un gigante come Youtube e Youtube con una emittente nazionale, fatto sta che ha deciso che solo le web tv con ricavi superiori a 100mila euro dovranno pagare. E non tremila ma 500 euro. Una misura che riguarderà il 5% dei 436 canali censiti da Altratv. Sicuramente non Piero di Saronno e quelli come lui.
Ma chi sono «quelli» come lui? Parliamo di realtà diffuse su tutto il territorio. Emittenti iperlocali che vivono solo sul web per raccontare il territorio, denunciare la malapolitica, informare comunità di appassionati che non si vedono mai sul piccolo schermo. Tutte insieme non fanno più di 400mila utenti al mese. Bazzecole per una emittente nazionale. L’audience dello «schermo col telecomando» si aggira intorno ai 9 milioni e rotti di spettatori al giorno. Nòva24 ha seguito e osservato queste realtà fin dall’inizio, quest’anno poi c’è stato il boom. I canali sono raddoppiati e dopo sei anni di gestazione travagliata sembrano aver trovato una vocazione più<TH>chiara. «Quando sono nate – ricorda Giampaolo Colletti, presidente Femi – l’ambizione massima era copiare il tg, mutuare il loro linguaggio, replicare i format della televisione tradizionale, con l’ambizione di diventare forse un giorno un pezzo del palinsesto Rai o Mediaset. Oggi qualche cosa sta cambiando. Sono sempre di più gli esperimenti di micro-citizen journalism, emittenti che dialogano con le amministrazioni locali, svolgono un ruolo attivo sul territorio, organizzano eventi, accendono le telecamere nei consigli comunali, insomma agiscono da community manager».
Più blog che flusso, più social network che palinsesto: a parte qualche eccezione, queste emittenti lillipuziane sembrano aver rinunciato a un posto sul telecomando per occuparsi di altro, accettando di svolgere un ruolo più attivo nella vita politica e lasciandosi in qualche modo adottare dai cittadini. Dopo anni di appelli e manovre di avvicinamento, i padroni delle antenne, quelli che si spartiscono il mercato della pubblicità, sono rimasti indifferenti a queste realtà, limitandosi a sorridere del popolo dei video.
Eppure, qualche suggerimento da dare ce l’avrebbero. Soprattutto in un momento di grande confusione e trasformazione del mercato televisivo come quello attuale. Sia sul fronte tecnologico che su quello dei contenuti. Dall’altra parte dell’Oceano, all’International Consumer Electronic Show di Las Vegas che si è chiuso la settimana scorsa, sono stati mostrati televisori autostereoscopici, vale a dire immagini in 3D senza occhiali. Sono la frontiera tecnologica di un mercato in cerca di una sua identità. Quelli del Ces per ora sono schermi ancora troppo costosi che si limitano a promettere sperando che produttori di contenuti svolgano la loro parte. Ma un’intera filiera dell’elettronica di consumo è al lavoro sulla scatola rettangolare del televisore per inserire internet, 3D, alta definizione e design. In attesa che l’equazione produca televisori belli e a poco prezzo, gli analisti chiedono sì contenuti in 3D ma puntano tutto su internet, sulla tv connessa, quella che Park Associates prevede raggiungere nel 2015 il 75% delle vendite. Guardano a Google, Yahoo!, Apple, attori che conoscono la lingua del web, meno quella del telecomando. Al contrario della televisione che non conosce, o forse non comprende ancora bene, le logiche della partecipazione attiva, dell’interazione mediata. Ecco perché il maggior realismo promesso dal 3D non è l’unica dimensione interessante. Forse c’è bisogno di un altro realismo. Ma questo, Piero da Saronno lo sa da un pezzo.
pubblicato su nova24 del 13 gennaio