Il finale di Lost non è ambiguo e neppure così aperto come qualcuno potrebbe pensare. Sono morti, ecco tutto. Flashback: finalmente nel week end mi sono rivisto con attenzione l'ultima puntata. Io, come molti, sono tra coloro che non hanno perso un episodio. Dalla prima alla sesta stagione. Ho condiviso questa serie con la mia compagna-moglie acquistando in blocco le prime tre stagione per sottoporci a una full immersion che è partita in chiave doveristica (dobbiamo perché piace a tutti) ed è finita in versione addicted (lunghe discussioni sui significati reconditi dei numeri, dei poteri di Waltz e della nube nera). Siccome sono strutturalmente portata ad abbracciare ideologie “all in” capaci di spiegare tutto mi aspettavo un finale più filosofico. Volevo insomma una metafora dell'isola ultracontemporanea che mi spiegasse tutto, il senso della vita, Berlusconi e la modernità. Invece le ultime due ore di Lost hanno riscritto una volta per tutte (in chiave serial naturalmente) il senso dell'isola:una storia di persone e di relazioni. Se ho capito bene i naufraghi si ritrovano nella chiesa i in una sorta di limbo. Come dice il padre di Jake hanno ricreato questo luogo per salutarsi un'ultima volta. Lascia andare, è il tema ricorrente della puntata. Lasciano quello che è stato, si abbracciano e continuano il loro commino verso qualcosa d'altro. Nessuna ambiguità. Dopo flashforward, flashback e salti nel tempo vari, nell'ultima serie la presunta realtà parallela non è altro che un luogo sospeso di passaggio dopo la morte. Ciascun personaggio in questo stato di realtà affronta la propria nemesi. Jack il rapporto padre-figlio (non a casa ha un figlio), Sawyer diventa un poliziotto alla ricerca del truffatore che gli ha rovinato la vita, Locke si ritrova su una sedia a rotelle a combattere con un se stesso rassegnato. Insomma, come afferma il padre di Jack in chiesa, quello che è accaduto sull'isola è reale. L'isola è esistita. I naufraghi sono realmente naufragati e al suo interno l'isola custodisce una fonte di energia che gli scienziati del Dharma Project hanno provato a studiare. Al tempo stesso l'isola è un tappo a un male (la nube nera) destinanto (secondo Jacob) a distruggere il mondo e la vita.
Insomma io l'ho capita così dopo aver piagnucolato come un bambino ogni volta che i protagonisti si ricordavano il loro passato. Del resto solo l'idea di poter incontrare per un'ultima volta dopo la morte le persone a cui si è voluto bene è un pugno allo stomaco anche per un soldato spartano. Ritrovarsi con le persone che in vita hanno davvero contato. Un'ultima volta. Eddai. E' questa forse la magia più bella dell'isola.
P.s Ora mi dicono che su Dvd il finale di Lost pare, dico pare. essere diverso. Se è così e J.J. Abrams se la sta ridendo come un matto, mi rimangio tutto. Giuro.