Fumito Ueda, la dipendenza e la poesia (Last Guardian)

Le finestre all’ultimo piano degli Studios di Sony Computer Entertainment guardano sui giardini del palazzo dell’imperatore. All’interno dell’edificio, dietro ai vetri, circondato da scatole e cavi in uno spazio minuscolo un programmatore del Team Ico con lievi tocchi del mouse muove una a una le piume di Toriko la creatura immaginata da Fumito Ueda che sarà protagonista di Last Guardian. Il gioco in esclusiva per Ps3 annunciato nel 2009 non uscirà come previsto quest’anno. Slitterà al 2012. Fumito Ueda sul blog di Playstation ha chiesto scusa ai fans ma nessuno ha avuto qualche cosa da ridire, almeno non apertamente. Gli artisti non si discutono. Ico e Shadow of Colossus, il primo del 2001, il secondo del 2005 hanno dimostrato che i videogiochi potevano parlare all’anima delle persone, smuovere emozioni e accompagnarci con l’immaginazione laddove solo la poesia ha saputo fare.
Ico racconta la storia di una relazione, di un legame tra un bambino e una ragazzina speciale, entrambi imprigionati in un castello di pietra nella foresta. Shadow of Colossus invece chiama il giocatore a cavalcare lungo sterminate e vuote praterie per affrontare gigantesche creature. La luce lattiginosa ammorbidisce i colori, le ombre spengono i rilievi, i giganti emanano un senso smarrito di umanità. Ico e Shadow of Colossus non sono solo giochi. Chi però considera Fumito Ueda un artista mancato nel senso classico del termine si sbaglia. Riservato e composto appare troppo concentrato sulla sua immaginazione per occuparsi della sua immagine. «Last Guardian insegna come comunicare con chi è diverso da noi», riflette Ueda. Sullo schermo alle sue spalle scorrono le immagini di Trico, un gigantesco gatto con le piume e le zampe da uccello che gioca con un bambino. Intorno ai due personaggi il nulla o quasi, i resti di una antica civiltà perduta, la pietra che si contende con l’erba e le ombre una luce che rende il cielo orzata. Abbandonato in questo teatro essenziale e struggente il giocatore interpreta ancora una volta un bambino. La sfida è trovare un modo di entrare in relazione con l’animale. «Per mettermi alla prova ho voluto una creatura che non esiste nella realtà – spiega Ueda –. Qualcuno che non ci permettesse di non avere dei punti di riferimento. Inoltre, rispetto a Shadow of Colossus siamo senza difese. Dobbiamo affidarci l’uno all’altro. Trico non eseguirà tutto quello che gli comandiamo. Farà anche di testa sua. Ma avrà bisogno di noi per superare enigmi e puzzle nel corso dell’avventura. Noi di lei (lui ndr) quando ci saranno nemici da affrontare». In sostanza dipenderemo uno dall’altro, il giocatore (umano) dalla simulazione (artificiale). Un legame che rappresenta il cuore del gameplay di questo gioco. «È la storia della costruzione di una amicizia – aggiunge –. All’inizio Trico e il bambino si conoscono appena, solo con il passare del tempo si instaura qualche cosa di più profondo». La sensazione è che Ueda stia ancora cercando qualche cosa. Immaginare prima ancora che realizzare un gioco di questo tipo richiede una operazione di scavo, una indagine intimista, un carotaggio nel proprio immaginario a cui l’industria del videogame non sembra essere abituata. Quella giapponese è una scuola che dopo aver inventato l’intrattenimento elettronico sta cercando di guardare oltre gli schemi classici. In alcuni casi ci riesce.
su nova del 28 aprile

Video da Moviemaniacs presa da Youtube. Il riferimento è al Tgs 2011